Questi giorni scorrono leggeri, nonostante gli impegni e lo stress ( che a volte hanno la meglio e mi spingono ad aggirarmi per casa con la pettinatura di uno yeti e l'umore di una scimmia in negligè, tanto per citare la lucasarts). Mi rifuggio sul balcone assolato, spalle al muro e gambe stese, lasciando che il mio orizzonte sia limitato dal frastagliato profilo delle piante da fiore. Durante la mia assenza il balcone si è riempito di piccole selvatiche meraviglie: cespugli di bocche di leone gialle e rosa, una piantina di pomodori che è salita su all'improvviso tutta arzilla e carica di fiorellini gialli, una malvarosa, un rampicante grasso con dei piccoli fiori fucsia dentellati come ghirlande. E poi l'ortensia, e le mille sfumature di ibisco, e la rosa vellutata, la buganville, l'albero di limoni contorto e profumato, e il mio preferito, il gelsomino bianco. Lo so,è un pò tardivo il mio gelsomino. Tutta la città è invasa già da mesi da siepi bianche che puntellano il fondo smeraldo delle foglioline verdi e lucide dei gelsomini. La villa comunale ha messo su un'intera parete, candida come neve e profumata di notti arabe. Ma da quando mi ricordo, il gelsomino è sempre stato sul balcone, ed ha sempre fiorito in ritardo, a giugno e a settembre. Ho passato tantissimo tempo, d'estate, a raccogliere i fiorellini a forma di stella dal pavimento del balcone, per lanciarli roteando dal balcone e assistere al volo da elicottero che facevano, portati dal vento, riempendomi le mani di quell'odore dolciastro. Da bambina il balcone era il mio angolo di mondo, il mio porto, la mia casa giocattolo. Sgusciavo tra i vasi, tra il benjamin sempreverde e le larghe foglie delle chenzie, che piovevano giù come un sipario, e lì fantasticavo e giocavo con i miei pupazzi, o con le formiche. Eppure non ho nè un terrazzo nè un giardino. Si tratta del semplice balcone di un appartamento al quarto piano, in un quartiere resedenziale periferico, un quartiere che solo una generazione fa era ricoperto dalle coltivazioni di arancio, con l'erba che arrivava fino al ginocchio, ai margini della strada sterrata. Quando ero bambina, dove non c'erano ancora i palazzi, ci portavano le pecore al pascolo e si sentiva lo scampanellare dei loro collari fin dentro casa.
Ogni cosa è un pò diversa, oggi, eppure uguale. Stendo le gambe, sfiorando con i piedi la pelliccia a 40° gradi della gatta, spaparanzata al sole, e mi metto a studiare.
Ogni cosa è un pò diversa, oggi, eppure uguale. Stendo le gambe, sfiorando con i piedi la pelliccia a 40° gradi della gatta, spaparanzata al sole, e mi metto a studiare.
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